Le voci di Marrakech (Adelphi) by Elias Canetti

Le voci di Marrakech (Adelphi) by Elias Canetti

autore:Elias Canetti [Canetti, Elias]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Adelphi
pubblicato: 0101-01-01T00:00:00+00:00


CANTASTORIE E SCRIVANI

Il seguito più vasto ce l’hanno i cantastorie. Intorno ad essi si formano i gruppi più densi e più assidui. Le loro esibizioni durano a lungo, gli spettatori che stanno accovacciati per terra formano un primo cerchio, e non si rialzano tanto in fretta. Altri, in piedi, formano un secondo cerchio; anch’essi si muovono pochissimo, pendono affascinati dalle labbra e dai gesti del cantastorie. A volte due uomini recitano a turno. Le loro parole vengono da lontano e restano sospese nell’aria più a lungo di quelle dei comuni mortali. Non capivo nulla e mi sentivo come messo al bando, eppure mi tenevo a portata della loro voce. Erano parole senza alcun significato per me, gettate fuori con impeto e passione: ma erano preziose per colui che le diceva e ne era orgoglioso. A me pareva che egli le disponesse sempre secondo un ritmo assai personale. Ogni volta che si interrompeva, ciò che diceva poi risultava più incisivo, più elevato. Di alcune parole avvertivo la solennità e di altre la malizia nascosta. Dalle lusinghe ero allettato come se fossero indirizzate alla mia persona, e nei pericoli avevo paura. Tutto era tenuto sotto controllo, parole di fuoco volavano lontano, ma non più di quanto volesse il cantastorie. Un’atmosfera eccitata sovrastava gli spettatori; e uno come me, per poco che capisse, sentiva fremere la vita nella mente di coloro che ascoltavano.

In onore alle loro parole i cantastorie erano vestiti in modo appariscente. Il loro abbigliamento si distingueva sempre da quello degli ascoltatori. Amavano soprattutto le stoffe più preziose; alcuni si presentavano in velluto azzurro, altri in velluto marrone. Avevano l’aria di personalità eminenti, ma come di fiaba. Raramente rivolgevano lo sguardo agli uomini da cui erano circondati. Tenevano gli occhi fissi sui loro eroi e sui loro personaggi. Quando il loro sguardo cadeva su qualcuno che era sempre lì, questi certamente si sentiva uno sconosciuto, un uomo qualsiasi. Gli stranieri per loro non esistevano affatto, in quanto non cadevano sotto il dominio delle loro parole. All’inizio mi rifiutai di credere che essi avessero per me un interesse così scarso, mi sembrava troppo insolito per essere vero. Dunque rimasi in piedi ad ascoltarli molto a lungo, anche quando fui attratto da altri suoni in quel luogo ricchissimo di suoni; eppure nessuno badava a me, nemmeno ora che cominciavo quasi a sentirmi di casa nella cerchia esterna. Il cantastorie, naturalmente, mi aveva notato, ma dentro il suo circolo magico io rimanevo per lui uno straniero, giacché non lo capivo.

Spesso avrei dato non so che cosa per riuscire a capirlo, e spero che un giorno saprò anche apprezzare questi cantastorie itineranti secondo il loro merito. Ma nello stesso tempo ero felice di non capirli. Essi rimasero per me un’enclave di vita antica, di vita intatta. La loro lingua era importante per loro come la mia per me. Le parole erano il loro nutrimento e da nessuno si lasciavano indurre a barattarle con un nutrimento migliore. Mi sentivo fiero del potere che il loro raccontare esercitava su quelli che parlavano la loro stessa lingua.



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